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GLI EBREI NELLA STORIA (25)
Da Theodor Herzl a Chaim Weizmann di Franca Tagliacozzo
Nel suo libro Lo stato ebraico del l896 Theodor Herzl, profondamente turbato dal processo Dreyfus, sostiene che i tempi sono maturi perché il popolo ebraico, disperso da quasi due millenni, possa ricostituirsi in libera nazione e rivendicare il diritto ad un territorio su cui fondare uno stato. Nettamente contrario alla penetrazione progressiva del territorio della Palestina da parte dei coloni russi secondo il modello della prima alià, per Herzl il primo passo da compiere é quello di ottenere le garanzie giuridiche da parte del governo da cui la terra stessa dipende. Questa condizione, necessaria secondo Herzl per procedere alla creazione di un insediamento ebraico in Palestina, lo conduce a intavolare trattative diplomatiche con vari governi europei e con quello turco, trattative che risultano però infruttuose.
I Congressi dell'Organizzazione Sionistica mondiale (il primo si svolge a Basilea nel 1897) diventano un momento di incontro e di dibattito tra ebrei occidentali ed orientali, ma nel 1901 in occasione del V Congresso si manifestano divergenze profonde tra i sionisti occidentali, vicini alla posizione di Herzl, e i sionisti orientali. Questi ultimi sono giovani universitari e intellettuali, quali Chaim Weizmann e Martin Buber, legati al "sionismo spirituale" di Asher Ginsberg(1856-1927), secondo cui il sionismo deve essere avviato su basi culturali. Ostentano la loro avversione per il metodo politico-diplomatico, allo stesso tempo troppo astratto e portato al compromesso, che induce Herzl a dare la "caccia ai grandi uomini, ai principi, ai governanti" per ottenere la Palestina, ma non conduce a risultati concreti. Come rappresentanti degli ebrei russi perseguitati, sono invece dell'idea di potenziare subito il movimento attraverso una colonizzazione organizzata e produttiva, cui non deve mancare l'appoggio delle trattative diplomatiche.
Il contrasto é risolto nel 19O7 dopo la morte di Herzl(1904), da Chaim Weizmann che, nell’VIII congresso, sostenendo la necessità di entrambe le concezioni per realizzare uno stato ebraico, si pone come il nuovo leader del movimento. Dieci anni più tardi, il 2 novembre 1917, dopo lunghi e laboriosi negoziati tra sionisti e governo britannico, la Dichiarazione di Balfour apre un periodo di ottimismo e di fiducia nella popolazione ebraica mondiale con la promessa del governo inglese di essere favorevole alla creazione di una sede nazionale del popolo ebraico in Palestina.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (24) Il sionismo politico di Franca Tagliacozzo
L'idea della possibilità di conciliare l'idelogia sionista con il socialismo é di Nachman Syrkin (1867-1924) autore di La questione ebraica e lo stato socialista ebraico. Gruppi di attivisti, come i Poalé Zion (operai di Sion) diffondono l’idea sionista tra i lavoratori della "zona di residenza", sottraendoli all’influsso filodiasporico del Bund. I sionisti-socialisti sono divisi in vari gruppi, non seguono un programma unitario, ma hanno in comune l'idea che lo sviluppo nazionale del proletariato ebraico non possa essere possibile nella condizione di dispersione, né attraverso la partecipazione alla lotta di classe nei rispettivi paesi.
Tra i circa 200.OOO pionieri ebrei che lasciano la Russia per la Palestina ci sono personaggi, quali David ben Gurion, che avranno importanza nella storia del sionismo e che contribuiranno a trasformare notevolmente la situazione creata dai primi pionieri e dai filantropi. Gli ebrei si sostituiscono agli arabi nel lavoro dei campi, sorgono villaggi in Alta Galilea e nella pianura costiera. Nel 19O9 nasce il primo Kibbutz, villaggio collettivistico, Degania. L'immigrazione diventa un impegno per la creazione di una vera e propria società ebraica e, accanto alla colonizzazione della terra, inizia la diffusione della cultura e della lingua ebraica, che rinasce in versione moderna.
Tra la prima e la seconda alià si innesta il sionismo politico di Theodor Herzl, un giornalista viennese di origini ungheresi, che nasce in Occidente tra gli ebrei emancipati. Anche se Pinsker e Kalisher hanno già individuato sul piano teorico l'idea della rinascita nazionale del popolo ebraico, Herzl, che ignora l'esistenza dei suoi predecessori (tra i quali anche il tedesco Mosé Hess), é considerato il fondatore del sionismo, che sotto la sua guida si trasforma in una corrente in grado di risvegliare negli ebrei una dignità nazionale.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (23) Le origini del Sionismo di Franca Tagliacozzo
Anche l’esperienza sionista, come quella del socialismo, si presenta in Europa orientale e occidentale secondo modelli diversi, ma con finalità analoghe. In entrambe le aree geografiche il sionismo nasce dalla consapevolezza che sia inutile per gli ebrei rimanere nella diaspora, sperando di resistere all'assimilazione e alle persecuzioni in atto. La soluzione é quella di dar vita ad una rinascita ebraica fuori della diaspora in terra di Sion, o Palestina, che a fine Ottocento é un'arretrata provincia dell'Impero ottomano, dove un'ininterrotta presenza ebraica ha testimoniato il legame storico e religioso degli ebrei con la terra di origine.
Il sionismo russo, che ha una connotazione pratica e spirituale ad un tempo, propone un nuovo modello di emigrazione: non più una fuga massiccia di ebrei verso Occidente e gli Stati Uniti alla ricerca di stati più liberali, ma un’emigrazione cosciente e finalizzata, preparata teoricamente e praticamente nei circoli intellettuali che si ispirano al pensiero di Zevi Hirsh Kalisher(l82l-l894) e Leon Pinsker(l795-l874).
I gruppi di giovani che dal 1881 realizzano la prima alià (immigrazione) in Palestina, vi giungono con l'idea di ripopolare la Terra di Israele e fondarvi colonie ebraiche, non solo perché divenga un rifugio per i perseguitati, ma soprattutto perché sia il centro spirituale per tutti gli ebrei in alternativa alla diaspora. Animati da zelo socialisteggiante e da fervore nazionalista sono intenzionati a lavorare in Palestina come operai o contadini; fondano la prima colonia autogestita nei pressi di Giaffa, Rishon-le-Zion (1882), ma una serie di difficoltà, oltre alla mancanza di mezzi e alla inesperienza nei lavori agricoli, li costringe a prestare la loro opera nelle colonie già esistenti, fondate dall'Alleanza Israelitica Universale e da filantropi occidentali, legati al modello coloniale dell'epoca.
In seguito le ondate migratorie di ebrei dall’Impero zarista si fanno più intense e massicce. La corrente dominante è quella dei sionisti socialisti che danno vita, intorno al 1904, alla seconda alià.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (22) Dalla tutela delle minoranze allo stalinismo di Franca Tagliacozzo
Il problema della tutela delle minoranze dell'Europa orientale viene sostenuto con forza dalle delegazioni ebraiche convenute a Parigi durante lo svolgimento della Conferenza di Pace di Versailles del 1919. L'accettazione del Sistema dei diritti delle Minoranze, una carta che garantisce uguaglianza, diritti civili, mantenimento delle proprie istituzioni culturali e religiose ai gruppi minoritari diventa, grazie al presidente Wilson e ai rappresentanti delle potenze occidentali, la condizione per il riconoscimento dell’indipendenza di Polonia, Romania, Ungheria, Yugoslavia, Cecoslovacchia, Lettonia e Lituania.
I principii espressi dalla Carta avranno però vita breve. Negli anni immediatamente successivi i governi di Polonia, Ungheria e Romania disattenderanno le clausole del Sistema dei diritti, mentre gruppi della destra estrema come le Croci ferrate ungheresi e le Guardie di ferro rumene torneranno ad alimentare violente campagne antisemite.
Contemporaneamente in Russia (dove gli ebrei sono stati emancipati nel 1917), mentre il Bund, dopo una lunga battaglia contro la concezione leninista del partito centralizzato, finisce per soccombere insieme ad altre formazioni politiche, Lenin avvia una intensa campagna contro l’antisemitismo, che viene messo fuori legge. I provocatori di pogrom vengono processati e condannati a pene severe.
La situazione cambierà durante lo stalinismo quando in Unione Sovietica, con il soffocamento di ogni dibattito ideologico e politico e di ogni forma di pluralismo, gli ebrei verranno sospinti verso una assimilazione forzata e il totale distacco dalle tradizioni culturali e religiose. Tornerà a diffondersi il pregiudizio antisemita, accompagnato da limitazioni e persecuzioni che raggiungeranno il culmine negli anni delle “grandi purghe”, quando molti esponenti delle minoranze etniche verranno condannate all’esilio, al carcere e alla morte.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (21) Il dibattito nel Bund di Franca Tagliacozzo
Al suo interno la storia del Bund é caratterizzata da una serie di contrasti tra fautori dell'autonomia nazionale ebraica e assimilazionisti propensi a lottare con gli operai russi e a convergere nel Partito operaio social-democratico russo. Nel 1898 al Congresso istitutivo di questo partito un delegato del Bund entra nel Comitato centrale, ma nel Congresso del 1903 i bundisti optano per l’autonomia, di fronte al rifiuto di dare al Bund il riconoscimento di partito nazionale del proletariato ebraico.
Dopo la rivoluzione del l9O5, che vede un particolare impegno da parte dei bundisti a Lodz, Bialystock e Odessa, il Bund nel suo VI Congresso, approda ad una piattaforma politica che si incentra sulla conquista dell' autonomia nazionale e culturale della minoranza ebraica in Russia. La soluzione prospettata nasce dall’elaborazione di un nuovo modello di emancipazione, e sembra indicare la via per evitare gli errori di quanto avvenuto nell’Europa occidentale, dove il processo di emancipazione ha portato la minoranza ebraica ad assimilarsi al contesto sociale e culturale dei paesi di residenza.
Da allora il Bund si concentra sulla lotta per la difesa e l’affermazione delle tradizioni culturali e linguistiche degli ebrei con una profonda influenza sul Partito socialdemocratico ebraico che sorge nel 1905 in Galizia. La piattaforma del Bund, però, né in Russia nè in Galizia si traduce in provvedimenti effettivi.
(a cura della redazione di anziani.it) |
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GLI EBREI NELLA STORIA (20) La nascita del Bund nell’ Europa orientale Di Franca Tagliacozzo
All’interno dell’ Impero russo, dopo le Leggi di maggio del 1882 (che resteranno in vigore fino al 1917), e con lo scoppio dei pogrom, una parte rilevante della popolazione ebraica, sbandata e priva di mezzi, fugge verso occidente, dove viene assistita da comitati di soccorso apprestati dall' Alleanza Israelitica Universale, un ente con sede a Parigi fondato dalle comunità ebraiche occidentali nel 1860, allo scopo di difendere i diritti degli ebrei dovunque fossero minacciati.
Nello stesso periodo tra gli intellettuali russi maturano soluzioni diverse. Nel 1897 In Europa orientale viene fondato il Bund, il partito socialista ebraico.Il Bund, o Lega dei lavoratori ebrei di Lituania, Russia e Polonia, nasce dall'incontro tra il proletariato della "zona di residenza", che sta maturando una coscienza sindacale, e gli intellettuali ebrei marxisti dei circoli clandestini di Vilna.
La sindacalizzazione degli operai ebrei si attua in concomitanza con l’industrializzazione russa e con la profonda trasformazione della struttura socio-economica, che si verifica nella comunità ebraica in seguito alle Leggi di Maggio. Le leggi vietano agli ebrei di vivere nelle campagne e quindi di dedicarsi alle loro tradizionali attività di artigianato, agricoltura e vendita delle bevande alcoliche, e costringe molti rimasti disoccupati a un esodo dalle comunità rurali per cercare lavoro nelle fabbriche dei centri urbani. La lotta per le rivendicazioni sindacali si intreccia con la presa di coscienza di essere anche una minoranza discriminata, e si traduce nella volontà di costruire un movimento ebraico di massa contro i regime zarista e per la conquista dell’emancipazione.
Tuttavia nel microcosmo ebraico, articolato e variegato, i bundisti restano in una posizione di isolamento rispetto agli ebrei più benestanti, meno intransigenti e di idee moderate, che condannano i rapporti del Bund con il movimento rivoluzionario russo.
(a cura della redazione di anziani.it) |
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GLI EBREI NELLA STORIA ( 19 ) Le risposte degli ebrei emancipati dell’Europa centro-occidentale di Franca Tagliacozzo
Tra la fine dell’ Ottocento e l’inizio del Novecento le comunità ebraiche, sia nell’ Europa occidentale che in quella orientale, vengono elaborando proprie risposte di fronte ai nuovi rigurgiti di antisemitismo e alle diverse realtà sociali e politiche che si vengono delineando. Sia pure con differenze a volte profonde, le due comunità vissute fino a quel momento separatamente, si caratterizzano soprattutto per l’impegno socialista e il sionismo, intrecciando in tal modo le loro storie e le loro esperienze.
Nelle comunità ebraiche occidentali, a partire dall'Ottocento, le scelte ideologiche e di campo più che dal senso di appartenenza a un gruppo minoritario sono dettate dalla formazione generale, dai valori morali, dagli interessi economici e sociali di ciascuno. Se in molti si rafforza il senso dell’identità ebraica, in altri si consolidano l’impegno politico e la militanza attiva nei partiti liberali e socialisti. In particolare, l’adesione al socialismo agli inizi del Novecento fu per molti ebrei una scelta individuale motivata non solo dalla volontà di lotta contro i partiti reazionari che avevano fatto del pregiudizio antiebraico un emblema, ma fu dettata anche dall’aspirazione alla giustizia sociale, alla democrazia, alla cooperazione internazionale, al pacifismo, alla tolleranza.
L’impegno contro l’antisemitismo non costituisce però per tutti un fattore discriminante di orientamento e di scelta. Le differenze ideologiche e politiche e il comportamento non univoco dell’ebraismo italiano si evidenzieranno durante il fascismo, cui aderiranno in diversi, malgrado la costante campagna razzista e antisemita del regime, che sfocerà nelle leggi razziali del 1938. Diversamente, molti altri ebrei italiani, come quelli di altre nazionalità, rimarranno dichiaratamente antifascisti e avranno una parte attiva nella Resistenza.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA ( 18 )
I protocolli dei savi anziani di Sion di Franca Tagliacozzo
Il mito del complotto giudaico acquista sempre più credito con il falso documento I protocolli dei savi anziani di Sion, pubblicato da gruppi antisemiti russi agli inizi del Novecento e presentato come la traduzione di un testo segreto scritto in Francia. Dà per certe le fantasiose prove di un’inesistente congiura ebraica che tramerebbe segretamente per impadronirsi del mondo, ed è usato per giustificare le più accese campagne antiebraiche.
Benchè se ne sia stata dimostrata la falsità, il libello ha fortuna e si diffonde, alimentando il mito di una congiura di volta in volta giudaico massonica, o bolscevica,o capitalista, o sionista, ma sempre quello di una piovra dai tentacoli piantati nei gangli vitali della società e dell’economia. Non importa se gli obiettivi del presunto complotto siano tra loro contrastanti e che le accuse siano prive di fondamento; ciò che conta è costruire il simbolo dell’avversario contro cui lottare, renderlo minaccioso e credibile e farlo apparire come un pericolo reale agli occhi della pubblica opinione.
In Russia è utilizzato per attribuire agli ebrei la responsabilità dello scoppio e dello sviluppo della rivoluzione del l9l7; in Germania contribuisce ad ascrivere loro la responsabilità della sconfitta nella prima guerra mondiale e della successiva crisi economica. Il nazismo imporrà il testo nelle scuole e ne farà strumento di propaganda nella sua campagna di distruzione totale degli ebrei. Ovunque e in ogni tempo I Protocolli vengono usati per sostenere la tesi dell’esistenza di una potenza ebraica, che mira a condizionare le sorti del mondo e dell'umanità in nome delle più diverse ideologie.
L’antisemitismo moderno degli inizi del Novecento diventa la bandiera sotto cui raccogliere il malcontento di sistemi e di società in crisi di identità, fino a divenire quello strumento politico di aggregazione e di morte che tanta parte avrà nel corso del secolo .
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (17)
Il nuovo antisemitismo: la matrice razzista di Franca Tagliacozzo
Alle istanze economiche, antiemancipatrici e al mito del complotto si intrecciano i miti razzisti, mentre la xenofobia e il nazionalismo riscuotono successo in un’Europa avviata verso lo scoppio della Grande Guerra, e gli ebrei vengono considerati stranieri in Francia o in Germania, nonostante vi risiedano da secoli. Il pregiudizio é alimentato dal mito dell’ebreo errante, riproposto dall’omonimo romanzo di Eugène Sue uscito a puntate nel 1844 su Le Constitutionelle. Il protagonista é presentato come un “caino vagabondo e fuggiasco sulla terra”, immagine del popolo ebraico cacciato dalla propria casa per non aver riconosciuto il Messia.
L’aspetto razzista si accentua con il francese Drumont che, cercando di convogliare il malessere sociale contro il falso obiettivo degli ebrei, non esita ad attribuire ai “semiti” le caratteristiche somatiche formulate dalle teorie della razza di Joseph Arthur De Gabineau e Houston Stewart Chamberlain, e ad accusarli di essere responsabili del disagio economico della Francia. Il culmine é raggiunto con il processo Dreyfus nel l894 e con la violenta propaganda antiebraica che ne accompagna lo svolgimento. In relazione all’affare Dreyfus (1894) l’organo dei gesuiti La Civiltà Cattolica, difendendo l’operato della magistratura francese che ha condannato l’ufficiale ebreo accusato infondatamente di tradimento, in polemica con gli innocentisti proclama che l’unico errore è stato commesso dall’Assemblea Nazionale del 1791, che ha concesso la cittadinanza agli ebrei.
Nella stessa epoca l'antisemitismo si traduce in ondate di pogrom in Russia, in campagne di stampa e proposte di leggi antiebraiche in Germania, e trova il suo coronamento nel I Congresso Internazionale dei gruppi antisemiti che si svolge nel l882 a Dresda con la partecipazione di eleati austriaci, tedeschi e ungheresi. Con questo atto ufficiale il fenomeno di internazionalizza e l’antisemitismo si coniuga esplicitamente con il razzismo.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (16) Il nuovo antisemitismo: la matrice economica di Franca Tagliacozzo
La paura del diverso dà origine all’antisemitismo moderno, termine che viene coniato nel 1879 dal pubblicista tedesco conservatore Wilhelm Marr, che ne fa uso in alcuni libelli violentemente antiebraici. Si tratta di un fenomeno complesso, non più solo frutto del pregiudizio religioso, ma fondato su elementi di matrice laica, derivati dalla nuova struttura economica e sociale nata dalla rivoluzione industriale.
Ricompare il pregiudizio di matrice economica, che già aveva caratterizzato il mondo medioevale. Si rivolge contro le famiglie che sono entrate a far parte della borghesia emergente, e si estende dai pochi ebrei che si sono affermati socialmente ed economicamente a tutti quelli che, usciti dai ghetti, iniziano lentamente e con difficoltà ad inserirsi nella nuova realtà. Lo stesso pregiudizio viene adottato verso la popolazione ebraica dell’Europa orientale che vive ancora in modeste condizioni economiche negli shtetl, i piccoli villaggi disseminati nella “zona di residenza coatta” nel sud-ovest dell’Impero russo, dove sono stati confinati dal decreto della zarina Caterina II del 1796 .
Questa forma di pregiudizio è alimentata anche dal saggio giovanile di Marx "Sulla questione ebraica" (1843-44), per il quale non è opportuno lottare per l’emancipazione degli ebrei, ma per un’emancipazione della società dall’economia capitalistica e quindi, secondo un sillogismo, dagli ebrei, in quanto identificati con il capitalismo. Questa concezione, che riduce gli ebrei ad un modello astratto, non trova posto nelle piattaforme dei partiti socialisti, per i quali l’avvento di una società più giusta risolverebbe di per sé le contraddizioni della società borghese e normalizzerebbe la vita degli ebrei.
Le teorie antisemite vengono fatte proprie e concretamente utilizzate da gruppi e da partiti di destra che si costituiscono sul finire del secolo: il nazionalsocialismo francese di Edouard Drumont, i partiti cristiano-sociale del pastore protestante Adolf Stoecker in Germania e di Karl Lueger, più volte sindaco di Vienna, nell'Impero d'Austria. Hanno un certo seguito tra i contadini e la piccola borghesia, che si affacciano per la prima volta sulla scena politica, con programmi demagogici che puntano a far confluire insieme riforme sociali, istanze nazionaliste, antisemitismo economico e razzismo.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (15)
Il permanere del pregiudizio nella società europea dell’800 di Franca Tagliacozzo
L'abbattimento formale del ghetto e l'inizio del processo di integrazione non comporta la nascita di un atteggiamento nuovo verso il “diverso”. L'opinione pubblica non è ancora disposta ad accettare su un piano di parità persone da sempre percepite negativamente. Mentre tra gli intellettuali permane ancora la tendenza a riferirsi agli ebrei con quegli stereotipi che ne mettono in risalto le caratteristiche somatiche o la predilezione per determinati mestieri, i contadini, estranei al movimento liberale e condizionati da pregiudizi secolari di matrice religiosa, seguitano a ravvisare negli ebrei il rappresentante del popolo deicida o l’uccisore di bambini per oscuri rituali.
Le tendenze antiemancipatrici ed antiilluministe, che hanno fatto la loro comparsa già durante la Rivoluzione Francese e l’epoca napoleonica, diventano prevalenti nell’età della Restaurazione, quando l’affrancamento della minoranza ebraica comincia ad essere correlato allo spirito rivoluzionario ritenuto disgregatore dell’ordine sociale. Alcuni pubblicisti iniziano a costruire in modo arbitrario e calunnioso artificiosi legami tra princìpi illuministi, massoneria ed ebraismo, ritenuto istigatore di un immaginario complotto contro l’Europa cristiana. Si sviluppa la tesi del “complotto” giudaico contro l’umanità, che nel corso dell’Ottocento si diffonde in Europa e negli Stati Uniti.
L’abbattimento delle mura del ghetto e l’inserimento degli ebrei nella società ingenerano un pregiudizio di tipo nuovo che non colpisce più un popolo emarginato nei ghetti, ma individui liberi che vivono insieme agli altri. La “paura del diverso” diventa la paura di trovarsi improvvisamente su un piano di parità con chi (vicino di casa, collega di lavoro, concorrente, compagno di studi,) é portatore di tradizioni diverse ed è sempre apparso nei secoli in un ruolo simbolico negativo. Nella mente di molti l'ebreo rimane l'ebreo-simbolo creato dall'antigiudaismo teologico medievale. E l'ebreo-simbolo appare come il vero fruitore del cambiamento storico apportato dallo spirito illuminista disgregatore del vecchio ordine.
(a cura della redazione di anziani.it) |
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GLI EBREI NELLA STORIA (14)
Le condizioni di vita nell’ Europa orientale di Franca Tagliacozzo
Nell’Ottocento la situazione nell'Europa orientale non lascia intravedere possibilità di cambiamento per i numerosi ebrei che vivono sotto gli zar, a parte lo spiraglio riformatore aperto da Alessandro II (1855-1881). Ma le agevolazioni concesse dallo zar sono rivolte a favorire solo le famiglie più abbienti, in grado di pagare tasse ingenti allo stato. Anzi, non solo gli ebrei dell'Impero russo non conoscono emancipazione fino al 1917, ma sotto il regno di Alessandro III (1881-1894), che sale al trono dopo l'assassinio del suo predecessore, la stretta si fa più pesante.
In questo periodo si intensificano le campagne zariste a favore della russificazione degli ebrei; e l'antiebraismo assume le forme laiche di derivazione occidentale, che si sovrappongono al pregiudizio religioso diffuso dalla Chiesa ortodossa. In particolare lo stereotipo dell'ebreo capitalista e sfruttatore si diffonde tra i populisti e i gruppi rivoluzionari, mentre il mito dell'ebreo straniero, che non appartiene alla stirpe slava e introduce in Russia il capitalismo e i valori occidentali, entra nella propaganda slavofila, contraria ad ogni innovazione.
Nella primavera-estate del 1881, subito dopo l'assassinio dello zar, scoppiano i pogrom, violenti attacchi da parte della popolazione contro villaggi o quartieri dove abitano gli ebrei. Scoppiano per pretesti i più svariati e si svolgono incontrollati tra la tacita compiacenza del governo e della polizia che li lasciano agire indisturbati, impediscono agli ebrei di difendersi e intervengono solo quando l'eccidio é ormai compiuto. In un anno si verificano attacchi contro gli ebrei in oltre 200 villaggi e in città come Kiev, Kishinev, Yalta, Odessa. Nel nord-ovest del paese decine di migliaia di persone restano senza casa e senza mezzi di sussistenza.
L'ondata di pogrom é alimentata dalla speranza da parte del governo di rinsaldare i vincoli tra la popolazione ed il regime zarista in decadenza, ed é fomentata dalla calunnia che siano stati gli ebrei ad assassinare Alessandro II. La popolazione è indotta a identificare negli ebrei la causa della sua miseria e dell' arretratezza della Russia, mentre la stampa nazionalista dà costantemente l'impressione che la responsabilità dei pogrom sia degli ebrei che indica di volta in volta come assassini, parassiti, deicidi, stranieri, nemici.
Nel 1882 con le "Leggi di maggio" una serie di disposizioni inasprisce la già pesante legislazione nei confronti della minoranza ebraica con ulteriori restrizioni sulla residenza, sul commercio e sulle altre attività fino ad allora consentite, mentre con l'istituzione del numero chiuso si colpiscono quegli studenti ebrei che, durante il regno di Alessandro II, erano stati ammessi a frequentare le scuole superiori e le università.
(a cura della redazione di anziani.it) |
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GLI EBREI NELLA STORIA (13)
Gli ebrei nell’ Europa centro-occidentale di Franca Tagliacozzo
Nel Corso dell’ Ottocento, non solo in Italia, ma in tutta l’Europa centro-occidentale, gli ebrei escono definitivamente dai ghetti, entrando a pieno titolo e con parità di diritti nella vita sociale politica e culturale dei paesi in cui vivono. La possibilità nuova di scegliere la propria residenza rende i cittadini ebrei liberi di muoversi. Si verifica anche per loro il fenomeno dell’urbanizzazione, dovuto al processo di industrializzazione che caratterizza questi anni, con l’ abbandono delle zone rurali e dei piccoli centri a vantaggio delle grandi città, dove possono finalmente dedicarsi a tutte le attività lavorative.
Questo inserimento si realizza con un processo di lunga durata, che coinvolge inizialmente strati ristretti del mondo ebraico, coloro cioè in grado, per possibilità economiche, di formazione e di apertura mentale, di entrare nel mondo delle professioni, della cultura, delle arti, nell’industria, nella carriera politica e accademica, nelle scienze esatte, nella finanza, mentre rimane ancora alto il numero di persone dedite al commercio.
Ma, anche se nelle città dell’ Europa centro-occidentale non esistono più i ghetti, in alcuni casi come ad esempio a Roma gli oltre tre secoli di ghetto lasciano in eredità gravi problemi sociali e organizzativi. Solo i pochi ebrei romani più agiati rompono facilmente con il passato, si trasferiscono fuori dal vecchio quartiere, mandano i figli alle scuole pubbliche, si dedicano ad attività diverse da quelle tradizionali, entrano in rapporto con il resto dei romani. La grande maggioranza, assai indigente, con difficoltà si stacca dalle sue radici al Portico d’Ottavia e dalle attività che si tramandano di padre in figlio.
Solo quando il Comune decide di risanare l’intera zona, che ha raggiunto livelli igienico-ambientali inaccettabili, verrà operata la completa demolizione del quartiere in base al piano regolatore per Roma capitale del 1883. I più tradizionalisti, che si identificano anche con i più disagiati, saranno costretti a trasferirsi, ma la scelta li porterà verso i quartieri limitrofi alla zona dell’ex-ghetto.
(a cura della redazione di anziani.it)
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Ultima modifica di LAREDAZIONE il 02 Mar, 2007 - 15:00, modificato 1 volta in totale |
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GLI EBREI NELLA STORIA (12)
Gli ebrei nel Risorgimento italiano di Franca Tagliacozzo
Se tra il 1789 e il 1815 gli ebrei avevano ottenuto l’emancipazione come beneficiari passivi, negli anni successivi una parte degli ebrei assume in prima persona un ruolo nella lotta per la conquista dei propri diritti, partecipando alle lotte politiche e alle rivoluzioni liberal-nazionali nei vari paesi europei.
Le sorti degli ebrei italiani sono legate alle vicende del Risorgimento. Nel 1848 in Italia, con lo Statuto Albertino viene concessa, quasi contemporaneamente, l’emancipazione a valdesi ed ebrei italiani. Lo Statuto, secondo cui la religione cattolica é la sola religione di stato e gli altri culti sono “tollerati conformemente alle leggi”, diventa Costituzione del regno d’Italia, e rimane in vigore fino a che non è sostituito dalla Costituzione repubblicana.
Con la piena partecipazione alla vita civile si consolidano e accentuano le differenziazioni ideologiche e politiche tra individui all’interno delle comunità ebraiche. Nel Risorgimento italiano si trovano infatti ebrei sia tra i carbonari che nella Giovine Italia, tra i garibaldini come tra i liberali moderati. L'impegno civile e politico li accomuna agli intellettuali ed alla borghesia di cui condividono i valori che li hanno guidati anche alla conquista della seconda emancipazione. Si sentono soggetti nella storia nazionale e si identificano in pieno con le sorti del paese in cui vivono.
Non a caso la generazione che si troverà di fronte alle leggi razziali fasciste del 1938, che priveranno gli ebrei del godimento di una lunga serie di diritti e li emargineranno dal resto della società, si sentirà tradita dallo Stato che li ha emancipati meno di cento anni prima.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (11)
La difficoltà dell'integrazione di Franca Tagliacozzo
La prima esperienza di conquista dei diritti che, in alcune parti d’Europa e quasi ovunque in modo temporaneo, modifica la vita e il ruolo degli ebrei nella società non é priva di conflitti e di lacerazioni all’interno delle comunità ebraiche, ma le situazioni sono varie e differenziate. Sostanzialmente l’emancipazione non viene percepita in modo lineare e indolore con valenza esclusivamente positiva, ma genera profonde fratture interne, in quanto implica trasformazioni culturali, mentali, nuovi modi di rapportarsi al mondo esterno. Gli strumenti per affrontare tali cambiamenti non esistono, sono tutti da inventare.
L’idea di emancipazione in un primo momento trova adesioni solo tra i pochi più evoluti i quali, abbandonando le differenze che li separano dai non ebrei, mescolandosi ai concittadini (matrimoni misti) e adeguandosi agli usi locali, assecondano la spinta assimilatrice. Non é un caso che proprio mentre la società circostante attenua o cancella la sua caratterizzazione religiosa, aumentino le conversioni. Questo fenomeno, motivato prevalentemente da ambizioni di carattere sociale più che culturale, è assai diffuso nell’Inghilterra del Settecento e negli Stati tedeschi a cavallo tra Sette e Ottocento. Contro la stessa concezione di Mendelsshon, che mantiene l’osservanza religiosa ed è contrario alle conversioni.
Diversamente, molti in questa fase oppongono una qualche resistenza alle pressioni assimilatrici della società. I più legati alla tradizione, per i quali nell'ebraismo non si può distinguere l'identità ebraica dalla religione, affrontano la svolta storica con profondo turbamento e con la consapevolezza che un tale processo può portare nel tempo alla perdita totale di radici ebraiche. Altri, e sono la maggior parte, si adattano, ma con difficoltà all'ingresso nella società civile. Affacciarsi al di là delle mura del ghetto abbattute significa dover affrontare un mondo ritenuto atavicamente irto di pericoli e uscire dal guscio dell’organizzazione comunitaria, che ha rappresentato sì la segregazione materiale e spirituale del ghetto, ma anche una forma organizzata di protezione secolare e che adesso viene messa in crisi.
Questa fase è interrotta dalla Restaurazione, ma il processo non si arresta definitivamente. La conquista dei diritti e della libertà per gli ebrei accompagna le lotte risorgimentali e liberal-nazionali e vede la partecipazione attiva e consapevole di gran parte della minoranza ebraica che, sperimentando la vita al di fuori del ghetto, inizia a confrontarsi con la realtà del tempo. (a cura della redazione di anziani.it)
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Ultima modifica di LAREDAZIONE il 23 Feb, 2007 - 16:29, modificato 1 volta in totale |
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GLI EBREI NELLA STORIA (10)
I limiti della prima emancipazione di Franca Tagliacozzo
L'incivilimento richiesto agli ebrei é inteso come processo unilaterale, e non è accompagnato da un analogo processo di rigenerazione della società nei confronti del gruppo minoritario. Infatti, la diffusione delle idee affrancatrici non ha implicato un cambiamento di giudizio nei confronti degli ebrei da parte dell’opinione pubblica, che rimane sostanzialmente legata agli antichi preconcetti religiosi e sociali. Tra gli stessi intellettuali illuministi più animati nella lotta contro l’oscurantismo, solo Montesquieu esprime aperta tolleranza nei confronti degli ebrei, ma altri, come Voltaire, gli enciclopedisti e il mondo accademico escludono gli ebrei da tale diritto e giungono a considerare la "degradazione" come una loro caratteristica naturale.
L’emancipazione può essere accordata all’ebreo solo come individuo secondo il motto "uomo in istrada, ebreo in casa" e non può essere concessa ad un gruppo minoritario portatore di un proprio bagaglio storico, culturale, religioso diverso, elaborato collettivamente nel tempo. Secondo questi canoni l’emancipazione diventa molto simile ad una conversione che deve determinare la scomparsa dell’ebreo dalla società. Tale condizione resta alla base dell’ambiguità dell’emancipazione, con cui il nuovo tipo di Stato laico tende a rendere omogenea la società.
Diverse sono le strade che, nei paesi dell’Occidente conducono di fatto all’emancipazione degli ebrei. Una esprime la tendenza verso un processo graduale. In questa si collocano, per esempio, l’Editto di Tolleranza di Giuseppe II; le analoghe riforme di Luigi XVI del 1784 in Alsazia e, in età napoleonica, le riforme negli stati illuminati del Wuerttemberg (18O8), Baden (1809) e Baviera (1813). L’altra strada porta verso una più rapida e completa emancipazione. Viene attuata negli Stati Uniti con la Dichiarazione dei diritti del 1776, e nella Francia rivoluzionaria con due successivi decreti dell’Assemblea Costituente: quello del gennaio 1790 che riguarda i sefarditi della zona sud-occidentale e quello del settembre 1791 che riguarda, dopo prolungate resistenze, tutti gli altri ebrei francesi, cioé gli ashkenaziti che vivono in Alsazia, Lorena e Metz.
Nel corso delle guerre napoleoniche le armate francesi impongono l’uguaglianza degli ebrei in Olanda, Belgio, Westfalia, Renania, negli Stati tedeschi e negli Stati italiani. Anche in Prussia, dopo la sconfitta subita nella guerra contro Napoleone, la crescita di un vasto movimento riformatore porta nel 1812 alla concessione di una quasi totale emancipazione, con la sola limitazione della possibilità di ottenere cariche statali.
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (9)
L’Illuminismo e la prima emancipazione di Franca Tagliacozzo
L’Illuminismo segna l’inizio di una fase nuova nella storia delle vicende ebraiche, che ha profondi riflessi anche sugli avvenimenti dell’Otto e del Novecento. Nel corso del XVIII secolo, insieme ai fermenti di rinnovamento della società, si fa strada tra alcuni intellettuali l’idea dell’emancipazione degli ebrei, dell’acquisizione cioè di garanzie di uguaglianza giuridica e politica, che li equipari al resto della popolazione. Questa nuova tendenza si trova, tra gli altri, negli scritti di Locke sulla tolleranza, nel primo saggio a favore dell’emancipazione degli ebrei, che esce nel 1782 in Prussia ad opera dell'economista Christian Wilhelm von Dohm (1751-182O) e nelle opere teatrali di Gotthold Efraim Lessing, ispirate alla figura di Mosè Mendelssohn (l729-l786).
Mendelssohn. è esponente della ristretta cerchia di ebrei colti e cosmopoliti di Berlino, il gruppo di ebrei “protetti” o “ebrei di corte” che, a partire dal 167O sono stati autorizzati a vivere in questa città dietro pagamento della “tassa di protezione”. Si differenziano dal resto degli ebrei che vivono miseramente nei ghetti degli Stati tedeschi, pagando tributi assai onerosi. Possono infatti frequentare le Università e sono di fatto inseriti nella società del tempo. Non a caso é proprio Mendelssohn il fondatore dell'Haskalà, l'Illuminismo ebraico, un movimento che sostiene la possibilità di conciliare la cultura ebraica con i principi dell'Illuminismo e ottenere per gli ebrei emarginati l'emancipazione civile, pur restando fedeli alle radici religiose e culturali.
L’interesse per le sorti degli ebrei si risveglia come tendenza umanitaria in difesa degli oppressi. Sotto la spinta di questo dibattito i sovrani illuminati iniziano a considerare l'emancipazione come condizione essenziale allo sviluppo di tutta la società civile. Nel 1781 Giuseppe II dà inizio a un processo graduale di riforma e con la Patente di Tolleranza concede la cittadinanza agli ebrei dell'Impero d'Austria, pur mantenendo discriminazioni e disuguaglianze. A loro volta Luigi XVI in Francia e Federico Guglielmo II di Prussia affidano a delle commissioni governative la questione della minoranza. Entrambe si concludono con un nulla di fatto
Il modello più aperto di emancipazione, di emancipare per migliorare, viene capovolto dalla commissione prussiana a favore di un modello piu gretto e restrittivo, a cui si associa l’idea che, nonostante la buona volontà dei sovrani, se gli ebrei non si “rigenerano” non possono essere migliorati. Non vengono considerati passibili di emancipazione se non si liberano dagli orpelli religiosi e sociali che li tengono separati dagli altri, se per primi non dimostrano la capacità di sapersi emancipare dalla propria tradizione, rinunciando all'autonomia comunitaria mantenuta nel corso dei secoli di segregazione forzata, assimilandosi alla struttura socio-culturale del paese in cui vivono e rinunciando, in ultima istanza, alla propria identità, che d’altro canto ha assunto il connotato di stereotipo negativo.
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GLI EBREI NELLA STORIA ( 8 )
Gli ebrei nell’Europa orientale e la nascita del chassidismo
Nel Medioevo erano sorte in Lituania e Polonia importanti comunità ebraiche…….Ai primi insediamenti seguirono in diverse ondate nuove immigrazioni di gruppi originari dell’ Europa centro-occidentale, messi in fuga dagli attacchi dei crociati e dalle epidemie di peste. In tal modo si formò una comunità in crescita demografica, che godeva di buone condizioni economiche ed era vista favorevolmente dai sovrani … Gli ebrei ricoprirono un ruolo sociale intermedio tra la classe sociale dei nobili e quella dei contadini: vivevano in villaggi e piccole città rurali dedicandosi al commercio minuto, alla vendita di prodotti agricoli e alle attività di rigattiere e di gestore di locande……
La situazione peggiorò quando, ai tempi della Controriforma, la Compagnia di Gesù fece il suo ingresso nel paese con l’intento di combattere i non cattolici: in breve tempo scomparve lo spirito di tolleranza che aveva caratterizzato i secoli precedenti. Successivamente si innestarono nuovi contrasti di carattere religioso, sociale e nazionale, che finirono per coinvolgere anche gli ebrei. I nobili polacchi latifondisti erano cattolici, le loro terre erano lavorate da servi della gleba in maggior parte di tradizione ortodossa. A metà del Seicento le bande cosacche, che guidavano le rivolte dei contadini, devastarono i territori dei nobili polacchi affittati agli ebrei. Le sanguinose stragi operate dai contadini decimarono la popolazione ebraica: gli eccidi si ripeterono nel secolo successivo in Ucraina, Podolia e Volinia. Nel frattempo le condizioni della comunità ebraica orientale si fecero particolarmente difficili, perché i diritti erano stati ristretti, il peso delle tasse e delle imposte era aumentato, i singoli e le collettività erano gravati dai debiti.
La difficile situazione degli ebrei in Europa orientale li spinse a concentrare la vita sociale nelle comunità, cercando rifugio e conforto nella tradizione e nei propri valori peculiari. In questo periodo si diffuse una nuova corrente mistico-religiosa, che prese il nome di Chassidismo, termine derivato da chassid che significa uomo pio. Il movimento sorse nella prima metà del secolo XVIII a opera di un rabbino polacco, Israel Baal Shem Tov, con l’intento di mantenere vitale lo studio e la diffusione della Kabbala e della mistica ebraica, e di favorire un risveglio religioso tra gli strati meno colti della popolazione.
Il Chassidismo attribuiva allo studio della Torà e del Talmud un significato mistico, invitando gli ebrei a vivere la loro religiosità con gioia. Il movimento continuò a diffondersi anche dopo la morte del suo fondatore, in particolare tra i ceti popolari della Podolia, della Lituania e della Volinia.
Franca Tagliacozzo, Bice Migliau "Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea" La Nuova Italia, 1993, pp. 17/18
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (7)
La nascita dei ghetti
Nell’ Europa centro-occidentale, la Controriforma costrinse gli ebrei, soprattutto in Italia, a vivere sempre più isolati dal resto della popolazione nelle parti più malsane delle città, che presero il nome di ghetti. L’origine del termine ghetto è stata oggetto di varie interpretazioni. Alcuni la fanno risalire al quartiere di Venezia situato vicino a una fonderia (getto), che diede nome al primo ghetto coatto in Italia. Altri la collegano all’ebraico ghet, che significa divorzio, separazione. I reclusi non potevano varcarne i cancelli se non nelle ore diurne portando il segno di riconoscimento.
A Venezia il ghetto sorse nel 1516; a Roma nel 1555 in seguito alla bolla Cum nimis absurdum di papa Paolo IV, nella quale si proclamava che gli ebrei, condannati a schiavitù eterna a causa delle loro colpe, dovevano essere isolati dai cristiani. Altri ghetti furono istituiti in diversi periodi a Bologna, Ancona, Ferrara, Modena, Trieste, Pesaro, Urbino, Senigallia. I più tardi furono i ghetti piemontesi, sorti tra la fine del Seicento e i primi del Settecento. Le condizioni degli ebrei andarono peggiorando soprattutto nel ghetto di Roma, con un inasprimento degli obblighi e delle imposizioni: dalla tassazione alle restrizioni economiche, dalle prediche coatte ai battesimi forzati, agli atti di omaggio ai papi e ai conservatori della città.
Fuori d’Italia sorsero ghetti a Praga, Francoforte, Vienna, Spira, Worms, Regensburg e Norimberga. Negli stati tedeschi la maggior parte degli ebrei viveva miseramente, oberati da continue tasse che dovevano servire a proteggerli, dedicandosi al commercio dei panni usati, mentre solo i più agiati erano prestatori. Il pregiudizio diffuso suscitava continue ondate di violenza e di persecuzioni. La riforma luterana non aveva modificato la situazione: in un primo tempo Lutero aveva sperato di indurre gli ebrei alla conversione, ma successivamente nei suoi scritti chiedeva di espellerli dal paese, di proibire loro l’esercizio del prestito, di obbligarli a lavorare la terra, di sequestrare i libri di studio, di bruciare le sinagoghe e di sterminarli.
Franca Tagliacozzo, Bice Migliau "Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea" La Nuova Italia, 1993, p. 9
(a cura della redazione di anziani.it)
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GLI EBREI NELLA STORIA (6) di Franca Tagliacozzo
La vita nelle comunità ebraiche
Le continue migrazioni degli ebrei da un capo all’altro d’Europa portano alla formazione di due nuclei: i sefarditi e gli ashkenaziti che, pur rimanendo ancorati alle comuni radici, si differenziano negli usi, i costumi e la ritualità. Col termine sefardita, che deriva dall’ebraico sefarad (Spagna), si indicano gli ebrei di origine spagnola e per estensione quelli provenienti dal bacino del Mediterraneo, che si vengono dislocando nell’ Europa occidentale. Ashkenazita deriva da ashkenaz, che tra gli ebrei del Medioevo indicava la Germania. Ashkenaziti furono detti gli ebrei dell’ Europa centro-orientale.
Al proprio interno, gli ebrei si vengono anche diversificando in strati sociali diversi. A fianco di quanti, dediti alle attività economiche e commerciali sono sostenuti dalla politica dei vari sovrani, si trovano fasce di popolazione indigenti e meno acculturate che spesso sopravvivono di espedienti. Questo avviene sia nelle grandi capitali europee che nei villaggi dell’ Europa orientale
Per secoli le comunità ebraiche costituiscono dei piccoli microcosmi: sono aggregati sociali, culturali e religiosi in grado di provvedere alle esigenze del culto, allo studio, all’assistenza reciproca. Quasi ovunque un’assemblea formata dai capi famiglia elegge un consiglio, che amministra la collettività, e mantiene i rapporti con i sovrani e con l’autorità pubblica. Saranno queste strutture, gestite a livello volontario dagli abitanti, a garantire la sopravvivenza materiale e spirituale del gruppo anche all’interno dei ghetti.
Nelle comunità si rafforzano i legami familiari, si mantiene viva l’abitudine alla celebrazione delle feste, allo studio e alla discussione dei testi sacri, attività intellettuale e di coesione mai abbandonata. Gli ebrei sopravvivono conservando la propria identità in un richiamo alle radici e alle vicende comuni, che li uniscono e danno un senso alla loro esistenza. Continuo è il riferimento alla memoria storica, che è vissuta, in occasione delle festività, come una sorta di rito che ripropone un evento storico trasformato in mito. Così la pasqua ebraica (detta Pesach o Pesah) ricorda l’esodo e la liberazione del popolo israelita dall’ Egitto. Yom kippur è la ricorrenza religiosa che celebra il giorno dell’espazione. Chanukah o Hannukkah, la festa delle luci, commemora la consacrazione di un nuovo altare nel tempio di Gerusalemme all’epoca dei Maccabei. Rosh Hashana, il capodanno ebraico, è insieme al Kippur la ricorrenza più solenne. ........... (a cura della redazione di anziani.it) |
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