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la guerra è sempre da condannare da qualuinque parte cominci il problema è che Israele quando era il momento non ha accettato di venire a patti per definire la posizione dei palestinesi ma ha cercato di sfruttare al massimo la sua posizione di forza ed ora è molto difficile che si possa mettere la parola fine a questa cinquantennale disputa |
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Pandora |
Oggetto: 01 Ago, 2006 - 19:19
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Non è a questo che intendevo si dovesse arrivare quando giorni fa ho parlato dell’accerchiamento di Israele con un invito soprattutto agli amici della sinistra di comprendere le ragioni dei suoi timori. Non pensavo a questa “non legittima autodifesa” che distrugge la vita di civili e bambini inermi, che annienta le risorse di sopravvivenza di un intero paese, che rafforza odi ed estremismi in tutta l’area mediorientale, che allontana ancora una volta le speranze di pace, che condanna lo stesso Israele a una logica militare che tutto giustifica. . Perché questo è quanto sta accadendo. E Israele è oggi più che mai indebolito. Lo è nel confronto con il mondo occidentale, che sempre meno (Stati Uniti a parte) ne condivide le scelte, lo è nel rapporto con le popolazioni arabe che lo circondano, dove anche le forze più moderate si stanno coagulando intorno agli Hezbollah, lo è nel dialogo con i palestinesi, senza il quale nessuna pace è possibile, lo è al suo interno dove la sinistra pacifista non ha quasi più voce. La parola non è più della politica, è brutalmente passata alle armi, in una situazione dove solo la politica può avere speranze di convincimento, con un conflitto i cui confini si stanno dilatando e di cui non si vede lo sbocco. Seguito ad essere convinta, insieme a molti altri, che Israele in questo momento fosse a rischio, ma non era questa la strada per uscirne… questa è una strada che può portare alla sua stessa fine. Perché Israele non sta solo alimentando una guerra ingiusta. Con questa guerra corre il rischio di andare anche verso la propria autodistruzione. Non solo territoriale, ma anche ideale e politica. E, per chi come me, ha creduto nello Stato di ispirazione democratica e socialista che 60 anni fa era nato anche come una speranza per gli ebrei di tutto il mondo, questo fallimento ha una doppia valenza.
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Melog |
Oggetto: Questione Mediorientale: articolo sul "Riformista" 21 Lug, 2006 - 19:40
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Più che un'amicizia, era un legame di ferro, quello che ha a lungo unito la famiglia socialista italiana con Israele. Un legame che, di questi tempi, vale la pena di ricostruire. Perché è un pezzo di storia del socialismo e della sinistra italiana ingiustamente dimenticato. Erano gli anni Sessanta, quelli in cui Zimmerman, star emergente della canzone impegnata, conosceva il successo con il nome d'arte di Bob Dylan. Pochi sanno che una consistente parte dei suoi incassi era sempre destinata a Gerusalemme. «L'amore per Israele era una caratteristica istintiva ed innata degli esponenti della sinistra riformista» racconta lo storico Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni. «Israele rappresentava, incarnava la sinistra. Per noi era un cuneo di democrazia socialisteggiante nel mezzo del mondo arabo. Era naturale parteggiare per quel tentativo coraggioso, persino un po' utopistico, di realizzare un'oasi politica: una società di liberi e di eguali laddove prima c'era solo il deserto». Istintivo e naturale. Ma non scontato. Al punto che Leo Valiani prende l'iniziativa di mettere nero su bianco le ragioni della sua passione per quell'oasi di democrazia. Pubblica un articolo. Poi un secondo. Un terzo. Alla fine consegna alle stampe un libro che, nelle intenzioni, cementa l'alleanza tra le sensibilità riformiste italiane e laburiste israeliane, riunite intorno all'utopia del sionismo egualitario. Luigi Salvatorelli aveva già pubblicato una sua storia d'Israele, ricevendo il plauso, tra gli altri, di Giuseppe Saragat. E' in quegli anni che Pietro Nenni stringe con Golda Meir un rapporto destinato a rimanere nella storia dell'internazionale socialista. «Il Psi ed i suoi compagni israeliani lavorano allo stesso modo per gli stessi obiettivi», scriveva Nenni in un'affettuosa missiva alla «compagna Meir», prima donna a guidare lo Stato ebraico. Israele, alla sua fondazione, è intriso di quello spirito del sionismo socialista che gli scorre nelle vene sin dal Bund tedesco di fine Ottocento: lo Stato ebraico adotta i principi della libertà nell'uguaglianza, si prefigge lo scopo di fondare una democrazia basata sul lavoro e sull'emancipazione della donna in pieno Medio Oriente, anche attraverso la collettivizzazione della terra attraverso i kibbutz. I rapporti con buona parte della sinistra italiana, non solo socialista, sono idilliaci. La rivista Mondoperaio raduna intorno a Leonardo Coen le migliori intelligenze del riformismo sionista italiano. Il Mondo di Pannunzio rilancia l'appello di Valiani per la difesa dello Stato ebraico. Il Ponte, autorevole testata fiorentina fondata da Pietro Calamandrei, si lancia a testa bassa nella campagna contro l'oscurantismo del mondo arabo che vuol porre fine all'esperienza liberalsocialista israeliana. Ne scriverà egregiamente Tristano Codignola, innamorato del modello dei kibbutz visitati intorno a Tel Aviv. Il mensile L'Astrolabio, curato da un giovane Marco Pannella, ospita nel 1965 gli appassionati interventi di Ernesto Rossi e Ferruccio Parri che elogiavano il sionismo. Quando, nel 1967, scoppia la guerra del Kippur, e Israele viene attaccato contemporaneamente su tre fronti diversi, in Italia ha luogo una mobilitazione spontanea in suo favore. I comunisti si schierano con Nasser soprattutto per motivi di ortodossia filosovietica, ma non mancano le crisi, i dubbi, i casi dicoscienza. All'ombra del Psi prende le mosse qualche iniziativa concreta. Pietro Nenni s'attacca al telefono ed organizza gli aiuti, sotto forma di sostegno anche finanziario ai laburisti israeliani. Sandro Pertini, Giuliano Vassalli, Mario Zagari si muovono in solidarietà con lo Stato ebraico. A Livorno, Umberto Misul, attivista socialista, si offre volontario per l'esercito israeliano, e promuove una mobilitazione tra i suoi compagni di partito, e tra gli ex combattenti partigiani, disposti ad arruolarsi nella riserva dell'esercito israeliano. La Brigata Ebraica aveva combattuto per la liberazione in Italia? «Ricostituiamola da qui, dalla Toscana», avevano proposto nel partito di Nenni, «proprio per aiutare lo Stato ebraico». Già ufficiale dei bersaglieri durante la prima guerra mondiale, Misul aveva combattuto come comandante partigiano nella Brigata Garibaldi. Alla notizia del raid arabo su Gerusalemme non ci pensa due volte. Nenni informa Gerusalemme di quell'offerta generosa di uomini, oltreché di mezzi, per combattere l'invasione araba. Sull'altra sponda del Mediterraneo non hanno il tempo per dare il via libera all'operazione italiana: al sesto giorno di guerra, quando Misul e la sua brigata socialista avevano appena preparato lo zaino per partire, Israele annuncia di aver vinto sui tre fronti, attraverso bombardamenti mirati, nella notte. I socialisti italiani sono in festa. Golda Meir, che era stata ministro degli Esteri e punta di diamante dell'Internazionale socialista, diventa nel 1969 il quarto premier israeliano. Nenni scriverà qualche anno dopo in una pagina del suo diario da Gerusalemme: «13 maggio 1971. Giornata di visite a Gerusalemme. Incontrato Leo Valiani qui per un seminario. La gente con cui ho parlato è ottimista e con un gran desiderio di pace. I nostri compagni qui appartengono al gruppo dei pionieri: i Segre, i Levi, i Sereni occupano nello Stato e nella società posizioni importanti». Tra i Sereni, il segretario del Psi annoverava anche Nezer Sereni, cognata del dirigente del Pci Emilio Sereni che in Israele ha fondato un kibbutz dedicato alla memoria di Enzo, deportato in un campo di sterminio nel 1944. Nenni finisce per assumere l'incarico di ambasciatore-ombra di Gerusalemme nel mondo: il 17 ottobre 1971, ci rivela una lettera inedita rinvenuta presso l'archivio della Fondazione Nenni, Golda Meir gli conferisce un incarico delicato: quello di «rappresentare gli interessi di Gerusalemme presso i compagni cinesi». Per dirla tutta:, tra uqesti interessi c'erano anche le armi. La Cina in rotta di collisione con l'Unione Sovietica poteva rappresentare un alleato naturale per Israele, e se il Pci era fedele a Mosca, il Psi aveva l'elasticità per trattare anche sul tavolo di Pechino. Cosa che fece, puntualmente. «8 novembre 1971. Cara compagna Golda, ho fatto presente al Presidente cinese Ciu-en-Lai - scrive Nenni - i problemi di Israele. I cinesi non dovrebbero essere né ostili né indifferenti alle esperienze sociali di Israele che hanno come scopo l'uomo, nella pienezza della sua liberazione». Nenni purtroppo non ebbe ragione, i cinesi si dimostrarono indifferenti. Decisero di non prendere le parti degli arabi ma neanche quelle degli israeliani. Forse furono loro i primi "equivicini" della storia, quando da noi la sinistra riformista si fregiava, con orgoglio, della Stella di Davide
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Vabene |
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Oggetto: Polizia ONU internazionale per la questione palestinese 16 Lug, 2006 - 18:55
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Se un torto hanno gli israeliani,quello fondamentale(considerato l'involuzione sempre in peggio della situazione)è rappresentato dal non volere,appoggiati dagli USA,una forza di interdizione internazionale.Una forza composita,naturalmente che comprenda anche forze dei Paesi arabi moderati e sotto il comando dell'ONU e con la possibilità di interventi armati anche pesanti contro le azioni di guerra dell'una o dell'altra parte.Non c'è purtroppo,inutile auspicare intese mai rispettate e rispettabili,altra soluzione ,allo stato attuale delle cose non è ipotizzabile, perchè la questione non si incancrenizzi più di quanto non lo sia con coinvolgimenti in belligeranze allargate di carattere internazionale(purtroppo auspicate e sperate da alcune componenti estreme dell'una e dell'altra parte).E' auspicabile che delle forze di interdizione non facciano parte gli USA(sempra mal visti e mal sopportati ovunque ormai)da sostituire con forze europee.Così vedo la questione e non solo io.Basta esortazioni,interventi decisi ed armati non solo apparenti.La forza ,purtroppo(una forza di pace armata come prima forma di polizia internazionale) non ha alternative in casi come questi.
Saluti da Vabene |
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La considerazione che mi sento di fare per questo conflitto permanente è quella che ogni popolo dovrebbe avere la possibilità di avere una propria patria.Detto questo e per tornare ai fatti che stanno succedendo in medio oriente si può affermare benissimo che gli atti compiuti dall'una e dall'altra parte sono di ordinaria follia e servono solo a coinvolgere la gente che vorrebbe vivere in pace.E' la barbarie che prende il sopravvento sulla logica. Per comporre una pacifica esistenza non c'è bisogno della violenza efferata,ma di un grande lavoro politico.E' vero lo stato di Israele è nato in un modo anomalo,adesso però c'è e bisogna rispettarne l'esistenza.Tuttavia non si può vivere con la spada di damocle sulla testa ed occorre che la comunità internazionale derima questa questione che sembra entrata in tunnel senza uscita.Io non riesco a capire perchè si mandino forze di pace in tutto il mondo e solo in medio oriente non si riesca ad assumere delle posizioni inequivoche.L'America che esporta la libertà in tutti i paesi(sic!!) perchè non pensa unitamente a tutte le nazioni del mondo a risolvere per una volta e per sempre quest'annosa questione ?Bisogna,a mio parere,convincere tutti che bisogna coesistere ed è necessaria la pace per tutti. E' vero su questa situazione ci sono opinioni contrastanti e forzature,però l'argomento non può diventare un fatto di politica interna e ognuno dovrebe esprimersi al di là di convinzioni politiche e di non appartenenza. Il rischio è molto grosso e noi nel mediterraneo siamo in mezzo ad una polveriera.Il primo compito è smettere di far parlare le armi e aprire un tavolo di trattative immediate.Sarà fatto? |
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Vabene |
Oggetto: Nessun dubbio,Israele ha i diritti di tutti i popoli 15 Lug, 2006 - 19:27
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Condivido,Israele ha l'indiscutibile diritto alla propria esistenza come quella del palestinesi.Ora più che mai si presenta l'occasione per escludere dal consorzio umano(,ONU),Stati e gruppi, religiosi e non,che alimentano il terrorismo,dichiarando di voler distruggere Israele,Iran in prima linea.Mi auguro che quanto prima dal G8,all'unione Europea fino all'ONU,si decida chiaramenmte l'incompatibilità di terroristi istituzionali(Paesi e Stati) e gruppi etnici e religiosi con il consorzio umano.Sarebbe anche opportuna che gli USA si astenessero dal prendere posizioni,sempre faziose,considerando anche il loro contributo permanente nell' aggravare situazioni delicate.Bel problema,che sia l'Europa a prendere iniziative dirette ed all'ONU.Israele può essere tutelato senza inglobarlo nell'Unione Europea e creare,per ora,altri problemi.Anche una forza di interdizione dell'ONU,sempre avversata da Israele,potrebbe (dovrebbe!) aiutare il faticoso parto dei due stati,quello palestinese ed israeliano.Se necessario,vista la degenerazione della situazione,la forza di interdizione dovrebbe essere imposta perchè è stato superato ogni limite di tolleranza .
Saluti da Vabene |
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cadice |
Oggetto: 15 Lug, 2006 - 15:48
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Condivido tutto quanto scritto da Pandora sull’argomento.Vorrei far mio e riportare qui una tesi,a mio parere,valida fatta circolare in un certo ambito politico.Israele non va condannata o difesa a seconda delle occasioni e delle inclinazioni politiche della parte che governa.Israele, entità ormai esistente e consolidata e,addirittura,necessaria nell’ambito di quell’area geografica,va tutelata. L’Europa da tempo ha perso e continua a perdere la grande occasione di considerare quello Stato come una sua appendice e accoglierlo nel suo ambito.Ciò darebbe una visione diversa della indispensabile coesistenza dello Stato di Israele e dello Stato Palestinese. Ed inoltre,impedirebbe a chi ha interesse a che in quell’area non venga raggiunto uno stabile equilibrio ed una convivenza pacifica di creare continue situazioni di conflittualità.Lo Stato israeliano non può essere lasciato solo se si vuole,e non sembri un paradosso,difendere anche il buon diritto dei Palestinesi a conservare la loro identità ed un loro Stato
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Pandora |
Oggetto: 15 Lug, 2006 - 15:02
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Messaggi: 471
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C’è un articolo di Gad Lerner su La repubblica di oggi di cui condivido pienamente i contenuti e le preoccupazioni. Verte su Israele, non su israeliani e palestinesi e sulle difficoltà dei due popoli di arrivare a una pace e a una parità di diritti uguale e condivisa, ma essenzialmente sul diritto di Israele di esistere. Perché oggi, di nuovo, come periodicamente da 60 anni a questa parte, è questo diritto ad essere messo in discussione.
Mi è difficile riassumere qui l’analisi di Lerner sulla situazione. Mi soffermo su quello che mi sembra il punto nodale. Israele si sente, ed è, nuovamente accerchiato. Dall’Iran, il cui leader farnetica (ma sono solo farneticazioni?) dell’annientamento degli ebrei e del loro Stato, dalla Siria da sempre ostile ad Israele, dal Libano dove agisce una forte componente islamica integralista antiebraica, le cui ultime azioni hanno portato a questo nuovo conflitto. Un integralismo che in questi anni è cresciuto a dismisura in tutta quell’area anche a seguito della guerra in Irak e che individua in Israele il nemico insediato nel cuore del mondo islamico da estirpare e da annientare. La difesa della causa palestinese è da sempre il pretesto usato da quegli stessi paesi arabi che da anni tengono i palestinesi chiusi e confinati in campi profughi senza possibilità di uscita e di integrazione, per negare il diritto di Israele ad esistere.
Io non so se la reazione di Sharon agli attacchi degli Hezbollah dislocati ai confini del Libano fosse necessaria, se fosse l’unica strada percorribile. Forse no, sicuramente porterà a ulteriori disastri in tutta l’area mediorientale, oltre che a morte e distruzione, e paura, anche dentro lo stesso Israele. Credo però, in accordo con Lerner, che troppo velocemente l’Europa, e anche la sinistra, liquidino il tutto con una critica alla “reazione spropositata”. Qui non si tratta più soltanto di difendere con pari energia i diritti dei due popoli, quello israeliano e quello palestinese, anche con critiche pesanti all’operato di Israele. Credo che andrebbe affermato con più forza e convinzione da parte di tutti che Israele esiste e, quali che siano stati gli errori commessi all’epoca della costituzione di questo stato e nella politica degli anni successivi, ormai è una realtà che non si può cancellare. E che non si possono mettere sullo stesso piano gli attacchi di chi vuole farlo sparire con gli attacchi di chi difende la propria sopravvivenza. Dopo possiamo dire che il conflitto, anche in questo caso, non è la strada più efficace. Ma diciamolo dopo.
E questa osservazione mi sento di farla anche agli amici della sinistra, di cui da sempre condivido il percorso e le idee, ma da cui spesso mi allontana il punto di vista su Israele.
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Ultima modifica di Pandora il 15 Lug, 2006 - 22:50, modificato 1 volta in totale |
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Vabene |
Oggetto: Cecità poltica di provinciali in ambito internazionale 29 Giu, 2006 - 14:27
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Sulla questione Afganistan,ben diversa da quella dell'Irak con la guerra scatenata dagli USA,un buon numero di provinciali sprovveduti,entrati in politica con ideologie in tasca buone per tutti gli usi,non sono in grado di comprendere e di distinguere.In Afganistan l'ONU,come in non poche altre parti del mondo,ha dovuto inviare una polizia internazionale(costituita da forze armate di Paesi membri)per problemi umanitari riguardanti gli eccessi di fanatici musulmani.IL problema se si vuole porre sostanzialmente non riguarda il ritiro unilaterale dei nostri militari, ma una questione da porre eventualmente dal nostro Paese in sede ONU perchè la questione venga riesaminata e fornendo elementi per una soluzione che riguarda,appunto,un servizio di polizia internazionale.
Nessun dubbio sul dovuto ritiro dall'Irak,dalla guerra voluta in sostanza dagli USA(errore inviare nostri militari per giustificarla,senza dubbio)pura insensatezza il ritiro unilaterale dall'Afganistan(perchè non da tutte,una decina,le nostre missioni ONU?).Ma chi lo spiega ai poveretti entrati in politica con l'incapacità di distinguere e con le soluzioni in tasca precostituite per ogni esigenza?Per cuocere un'uovo persone simili sono capacissime di incendiare un bosco o una foresta.Che pena profonda!
Saluti da Vabene |
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Vabene |
Oggetto: Perchè i nostri militari sono stati inviati in Irak? 06 Giu, 2006 - 21:29
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Ho da poco visto il telegiornale,con gli interventi di Casini e Martino dopo la comunicazione di Prodi sul nuovo lutto nazionale per un nostro militare ucciso in Irak,oltre ai quattro feriti.Martino ha di nuovo denunciato le dichiarazioni urlate da insensati e poveri sciagurati,dopo i primi lutti in Irak (la stupidità quantificata in 100,1000 nostri morti in Irak).Nulla da eccepire sulla denuncia,dietro la quale tuttavia,sia chiaro,le responsabilità politiche per i nostri morti in quel Paese sappiamo a chi sono imputabili.In aula nessuno della maggioranza,per motivi diversi,compreso il lutto per la nuova morte di un militare,ha detto una parola sulle responsabilità ,ma noi cittadini comuni che non abbiamo vincoli di opportunità politica, possiamo ben dirlo,dobbiamo anzi evidenziarlo.Sia chiaro i militari hanno il dovere di obbedire ai rappresentanti del nostrio popolo,il governo in questo caso,e l'obbedienza con la scrupolosità professionale con la quale hanno e stanno svolgendo il loro compito,meritano tutto il nostro apprezzamento.
Ma,come altre volte ,ci si può chiedere e ripetere,perchè Berlusconi e soci hanno inviato i nostri militari in Irak e la risposta è scontata:per compiacere e sostenere Bush ed i petrolieri americani.Non ci sono altri motivi plausibili.Abbiamo avuto i nostri caduti(speriamo di non piangerne altri) ma il nostro contributo concreto per risolvere il problema Irak,creato da Bush e soci, si può onestamente valutare:è meno di zero.Spese militari enormi per che cosa,gli interventi a favore delle amministrazioni locali e dei cittadini irakeni raggiungono a malapena il 2-3% di quanto speso. E' certo importante,utile e doverosa e lo sarà sempre di più la nostra presenza,anche militare sulla scena internazionale ma non con i motivi e gli scopi della presenza in Irak."Fanfarone incosciente" era stato definito Berlusconi dai nostri alleati europei(alleati naturali!) e credo che sia proprio così.I nostri militari morti in Irak,senza tanti giri di parole,e lo spreco di risorse per la presenza militare in quel Paese vanno addebitati alla cattiva coscienza dei Berlusconi,Casini Martino e soci.Questo fatto dell'Irak pone anche un problema di regolamentazione,costituzionale(quando si discuterà di revisione della costituzione) dei nostri interventi armati e dei principi che li dovranno orientare,senza che i governanti di turno abusino di interpretazioni a loro uso e consumo.........per soccorere gli "amici" o spacciati come tali e per scelte evventuristiche o affaristiche. |
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